Con la sentenza in commento il Tribunale di Civitavecchia ha deciso la controversia ad esso sottoposta applicando il principio secondo cui il legittimario che abbia ricevuto un legato può essere dispensato dall’imputarne il valore alla sua quota di legittima anche in maniera implicita.
La vicenda ha inizio con atto di citazione mediante il quale Tizio evocava in giudizio i fratelli Caio, Sempronio e Mevio per sentire accertare e dichiarare, tra le altre cose, che la madre, col proprio testamento, aveva leso la sua quota di legittima. Si costituivano tutti i convenuti. Uno di essi – per comodità si presupponga Caio – eccepiva, tra l’altro, che l’attore, nel quantificare il patrimonio ereditario, aveva errato nell’effettuare i calcoli e nel qualificare come donazioni in suo favore alcune operazioni (nello specifico, alcuni prelievi da conto corrente) poste in essere dalla de cuius mentre era in vita.
Per quanto qui rileva, il tribunale, chiarito che la successione dell’ereditanda doveva intendersi disciplinata dal di lei testamento, riporta le disposizioni testamentarie della medesima, aventi all’incirca il seguente tenore: «Se mi succede qualcosa e muoio lascio i soldi a Caio, Sempronio e Mevio. La mia parte di casa a Caio perché mi accompagna sempre alle visite mediche in ospedale e mi ha portato a casa sua in Abruzzo… . A Tizio non lascio niente perché non mi viene a trovare nemmeno a Natale e a Pasqua e non mi ha ridato i soldi prestati».
Sulla base di ciò il giudice riteneva allora che le volontà della defunta andassero interpretate come istituzione d’erede in favore di Caio, Sempronio e Mevio relativamente all’attribuzione del denaro e come legato in favore di Caio per l’attribuzione della sua quota della casa ove abitava. In particolare secondo il tribunale «deve considerarsi come legato con dispensa da imputazione quello attribuito in aggiunta rispetto alla quota di riserva. Si tratta di un legato semplice, che si aggiunge, integralmente, alla quota ereditaria dell’erede-legittimario, e che grava sulla sola quota ereditaria di colui o di coloro su cui l’onere del legato è imposto. Nel caso in esame, l’espressa previsione che sui beni ulteriori rispetto all’immobile oggetto del legato doveva concorrere anche Caio porta a ritenere che il legato a suo favore era con dispensa da imputazione».
Tralasciando, non essendo questo il punto di interesse, tutta la tematica relativa alla qualificazione del lascito de quo[1], occorre concentrarsi sul fatto che il Tribunale di Civitavecchia abbia ritenuto che il legato in parola, essendo disposto a beneficio di un legittimario in aggiunta all’istituzione d’erede in suo favore, dovesse considerarsi come disposto con dispensa da imputazione.
In parte qua punto di partenza deve necessariamente essere l’art. 564, comma 2, c.c., ai sensi del quale il legittimario che agisce in riduzione deve imputare alla sua quota di legittima (c.d. imputazione ex se) il valore delle donazioni e dei legati a lui fatti dal de cuius «salvo che ne sia stato espressamente dispensato». Risulta quindi letteralmente già dalla disposizione che disciplina la dispensa in questione – e questa è la tesi prevalente in giurisprudenza[2] – che la medesima debba essere disposta «espressamente», non essendo possibile desumere aliunde una tale volontà del testatore/donante, nemmeno attraverso un’interpretazione delle disposizioni testamentarie (o del contenuto della donazione, potendo la dispensa – che è atto a struttura inter vivos con efficacia post mortem – essere contenuta anche in una donazione).
Il Tribunale di Civitavecchia dimostra invece di distaccarsi completamente da tale disposizione, ritenendo possibile desumere l’esistenza di una dispensa da imputazione dal fatto che i beni fossero stati attribuiti al beneficiario in aggiunta all’istituzione ereditaria.
Da un punto di vista generale, l’orientamento potrebbe anche meritare seguito in quanto si mostra assai ossequioso del principio del rispetto e della conservazione della voluntas testantis. Se infatti è difficile che nell’ipotesi di redazione di testamento pubblico – nel qual caso l’ausilio di un esperto come il notaio dovrebbe eliminare ab imis ogni possibilità di dubbi sulla corretta e completa manifestazione della volontà del testatore – il de cuius, pur volendo dispensare uno dei suoi legittimari dall’imputazione di una certa donazione o di un determinato legato, non lo espliciti adeguatamente, laddove, come nell’id quod plerumque accidit, il testatore ricorra ad un testamento in forma olografa (o anche ad un testamento segreto, almeno quando questo venga poi consegnato al notaio già in busta chiusa) è molto più facile che il predetto non dica espressamente di voler disporre una dispensa da imputazione, vuoi per ignorantia legis, vuoi per poca dimestichezza col linguaggio giuridico e con la redazione di testamenti, per cui ben potrebbe accadere che, pur risultando dall’interpretazione complessiva del voluto testamentario che il testatore intendeva dispensare un dato legittimario dall’imputazione ex se e far ricadere una certa attribuzione sulla legittima, la circostanza non sia stata esplicitata apertis verbis dal testator. In questi casi è evidente che ammettere la possibilità di una dispensa implicita consentirebbe al giudice di assicurare che la volontà del testatore sopravviva al medesimo senza nulla perdere rispetto a quella che era la sua più primitiva ed intima essenza.
A questa ricostruzione, senza dubbio suggestiva, si contrappone però diametralmente il disposto letterale dell’art. 564, comma 2, c.c., il quale prevede, come visto, che la dispensa debba essere “espressa”.
Occorre inoltre evidenziare che la scelta di aderire al modus operandi del Tribunale di Civitavecchia potrebbe forse lasciare al giudice sin troppo ampia discrezionalità, soprattutto ove, come nel caso di specie, le parole del testatore siano talmente poco chiare da potersi addirittura dubitare anche del fatto che il legato dalla cui imputazione il legittimario sarebbe stato asseritamente dispensato sia un legato. In situazioni del genere è evidente che il rischio di andare incontro a storture sia notevole così come quello che l’opera interpretativa del giudice anziché da una consapevole applicazione della legge finisca per essere guidata dal mero arbitrio di questo.
In conclusione, ad avviso di chi scrive, il principio applicato dal Tribunale laziale non sembra condivisibile, non solo perché contrario ad una precisa disposizione legislativa di segno opposto ma anche in quanto rischia di creare più problemi di quelli che risolve; andrebbe invece ribadito il principio secondo cui la dispensa dall’imputazione ex se, ove voluta dal donante/testatore, debba essere dal medesimo disposta in maniera espressa.
[1] Sul punto, tuttavia, sia permesso di spendere almeno qualche parola. Ove si ritenga di intravedere nel medesimo un legato, lo stesso, essendo posto a carico di tutti gli eredi ed in favore di uno solo di essi, avrebbe dovuto semmai essere qualificato come prelegato, con tutte le conseguenze in punto di quantificazione della massa dividenda e ripartizione del peso di esso. In ogni caso a mio modesto avviso tanto l’attribuzione dell’appartamento quanto quella del denaro era semmai da ricondurre nell’ambito applicativo dell’art. 588, comma 2, c.c. e quindi da qualificare come institutio ex re certa, con la conseguenza che i tre eredi non avrebbero dovuto essere considerati come istituiti in quote uguali e la quota di Caio avrebbe dovuto essere maggiorata in proporzione al valore della quota di appartamento a lui attribuita. In ogni caso, come detto, non è questo l’argomento che qui rileva.
[2] Per la necessità di una disposizione espressa si vedano: Cass. civ., 30 maggio 2017, n. 13660, per la quale non si può desumere una dispensa da imputazione nemmeno qualora il donante abbia donato «in conto di legittima e per l’eventuale esubero sulla disponibile con dispensa da collazione», non essendovi in tal caso un riferimento espresso alla dispensa da imputazione e non essendo a ciò sufficiente il mero riferimento alla disponibile; Trib. Savona, 27 aprile 2018, secondo cui: «In tema di successioni, ai sensi dell’art. 564, comma 2, c.c., la dispensa dall’imputazione ex se deve essere espressa e, quindi, occorre che la volontà di dispensare dall’imputazione sia deducibile con certezza dal contesto della disposizione, senza possibilità di equivoci sul significato sia logico che letterale dell’espressione usata, restando conseguentemente esclusa l’utilizzabilità di elementi extracontrattuali e la desumibilità di una volontà in tal senso per implicito dalle disposizioni del donante. Discende che non può ravvisarsi una dispensa dalla imputazione alla legittima nella dichiarazione del donante che la donazione viene da lui fatta sulla disponibile»; Trib. Belluno, 31 gennaio 2019; Trib. Messina, 28 agosto 2020.
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