Lo svolgimento del procedimento di famiglia nella legge delega n. 206/2021
Di DAVIDE PIAZZONI -
Nel disciplinare in modo compiuto e univoco il nuovo procedimento della “area famiglia”, il Legislatore delegante individua uno schema unico, ricalcato sul modello degli attuali procedimenti camerali nei quali si svolgono numerose controversie familiari, ma imponendo preclusioni e decadenze che oggi non sono presenti, ed introducendo in ogni caso la previsione di provvedimenti provvisori ed urgenti a tutela dei soggetti coinvolti nella lite che si trovino in una posizione di particolare vulnerabilità: la prole, ma anche chi è vittima di violenza (diretta o assistita).
Ne emerge uno schema rigido, per quanto attiene alla sua instaurazione; ma duttile per quanto concerne il prosieguo.
INTRODUZIONE DEL PROCEDIMENTO
I procedimenti saranno tutti introdotti con ricorso (art. 23, lett. f). Vengono così definitivamente superate sia le incertezze che erano emerse ad esempio relativamente ai procedimenti instaurati ai sensi dell’art. 337-septies c.c., sia la dicotomia tra procedimenti con citazione a data fissa (ad esempio: l’azione ex art. 263 c.c.).
Il contenuto del ricorso sarà determinato dal Legislatore delegato. Tuttavia la Legge delega lo indica in modo piuttosto analitico e vincolante. Nel sancire che il ricorso sia sintetico, il Legislatore delegato ne impone anche in parte il contenuto: oltre agli elementi che già oggi sono indicati nell’art. 163 c.p.c., il ricorrente dovrà indicare tutti i mezzi di prova di cui intende avvalersi, e menzionare anche «i procedimenti penali in cui una delle parti o il minorenne sia persona offesa». Viene individuato anche un corposo onere di allegazione: non solo i documenti di tipo economico (dichiarazioni dei redditi; documentazione attestante patrimonio e capacità di reddito e di risparmio di chi ricorre), indicando al Legislatore delegato che dovrà sanzionare il deposito inesatto o incompleto; ma anche i precedenti provvedimenti che hanno coinvolto il nucleo familiare (non solo di quello da eventualmente modificare, quindi); e un piano genitoriale (su cui v. più diffusamente infra). Il tutto a pena di decadenza, per tutte le domande che coinvolgano diritti disponibili.
Depositato il ricorso, l’udienza dovrà essere celebrata entro e non oltre 90 giorni innanzi al Giudice relatore (c. 23, lett. f): il decreto di fissazione udienza indicherà anche i termini entro i quali ricorso e decreto dovranno essere notificati, informando le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare.
Già da questo momento la Legge delega individua una linea di particolare protezione: nei procedimenti in cui venga allegata violenza domestica o di genere, anche assistita, e anche “economica” (come da art. 3 della Convenzione di Istanbul), possono essere pronunciati provvedimenti provvisori e urgenti inaudita altera parte a tutela delle vittime, con fissazione di udienza da celebrarsi entro i successivi 15 giorni, ed è esclusa ex lege la possibilità di utilizzare lo strumento della mediazione familiare. Allo stesso modo, in prima udienza è esclusa la possibilità di conciliare le parti (c. 23, lett. l e lett. m), e si può procedere con comparizione separata.
Il convenuto si deve costituire con atto il cui contenuto è analogo al ricorso, ed è soggetto alle medesime sanzioni e decadenze (c. 23, lett. h); la contestazione dei fatti indicati dal ricorrente deve essere specifica, così come l’indicazione dei mezzi di prova. Nella comparsa di costituzione e risposta il convenuto deve altresì proporre le domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, a pena di decadenza.
Spetterà al Legislatore delegato, infine, individuare la disciplina della reconventio reconventionis e delle difese del Ricorrente a fronte delle domande riconvenzionali del convenuto (c. 23, lett. i).
TENTATIVO DI CONCILIAZIONE E PROVVEDIMENTI PROVVISORI E URGENTI
Con l’eccezione delle fattispecie caratterizzate da violenza –per le quali ogni ipotesi conciliativa o mediativa è esclusa–, alla prima udienza il Giudice, sentite le Parti, formula una proposta conciliativa che, se accettata, viene incorporata in verbale di conciliazione che costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (c. 23, lett. l). Ove non accettata, il Giudice ha tre possibilità: trattenere direttamente la causa in decisione (c. 23, lett. q); ovvero invitare le parti ad esperire un tentativo di mediazione familiare (c. 23, lett. n); ovvero infine pronunciare provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi (c. 23, lett. m), sul cui regime di impugnazione e modificabilità cfr. il contributo dell’Avv. Giulia Facchini.
PRIMA UDIENZA E DECADENZE
Il sistema delle decadenze e delle produzioni documentali imposte sin dai primi atti difensivi è volto a permettere al Giudice di avere, sin dal primo momento, ogni strumento per poter decidere immediatamente su ogni domanda proposta dalle Parti, conformemente al principio generalissimo di ragionevole durata del processo e di effettività della tutela previsto all’art, 1, c. 5, lett. a.
L’intero procedimento potrebbe svolgersi in una sola udienza (art. 23, c. 1, lett. q). Cessa così, per alcuni procedimenti (ad esempio: separazione e divorzio; procedimenti ex art. 250 c.c.) quella struttura bifasica che porta a ribadire numerose volte le domande formulate in giudizio, con interrogativi (poi sciolti dalla Suprema Corte) sul quando maturino i termini per la proposizione ad esempio delle domande riconvenzionali.
Non vi sono però decadenze e preclusioni per i diritti indisponibili, ma solo per quelli disponibili. Distinzione che dovrà trovare la sua definizione concreta. È sostenibile sin dora che tutte le domande relative ai figli minorenni e maggiorenni -quantomeno quelli portatori di handicap grave- rientrino nella prima categoria, tanto più che il giudice è dotato -come ribadito dalla legge delega- di poteri istruttori e decisori propri per i minorenni ma anche per le vittime di violenza.
La Riforma prevede in ogni caso la possibilità che alcune posizioni soggettive – anche disponibili, probabilmente – possano essere oggetto di domande nuove di merito e istruttorie da formulare nel corso del procedimento, se sopravvengono nuovi fatti o in caso di nuovi accertamenti istruttori. Altra ipotesi, forse, di domanda nuova per la quale non maturano decadenze è la conversione della separazione in divorzio (c. 23, lett. bb): rimane però il dubbio se si tratti di domanda da formulare necessariamente sin dal primo atto (e che diventa procedibile con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, rispettati i termini ex art. 3 l. 898/1970); o se sia possibile proporla anche nel corso del procedimento (come sembrerebbe, considerato che, ove la domanda di divorzio sia proposta in altro procedimento innanzi allo stesso tribunale, i due procedimenti possono essere riuniti).
È comunque auspicabile che il Legislatore delegato chiarisca la distinzione tra diritti disponibili e indisponibili ancorché con un’elencazione non esaustiva ma indicativa (v. infra, c. 23, lett. t), al fine di evitare quanto più possibile il proliferare di prassi interpretative disomogenee.
LA POSSIBILE DECISIONE IMMEDIATA SUGLI STATUS PERSONALI
Sin dalla prima udienza saranno possibili pronunce sullo status (sia coniugale, sia filiationis, ove non siano necessari ulteriori accertamenti) (c. 23, lett. q). Nulla però di disciplinato sulla eventuale possibilità di formulare riserva di appello.
La sentenza parziale sullo status è già prevista per i procedimenti di separazione e divorzio, oggi dagli artt. 709-bis c.p.c. e 4, c. 12, l. 898/1970 (con appello immediato). La prassi giudiziaria in ogni caso porta alle decisioni sullo status ad istruttoria già iniziata (ad esempio: dopo la proposizione delle memorie ex art. 183, c. 6, c.p.c.), o dopo la prima udienza c.d. di merito. La stessa possibilità è altresì prevista in via generale dall’art. 279, c. 4, c.p.c., ma in questi casi è possibile proporre riserva di appello (art. 340 c.p.c.). Nei procedimenti inerenti lo status filiationis appare però di applicazione scarsa e comunque a procedimento avanzato. La generalizzazione della regola potrebbe comportare, in ogni caso, la necessità di un attento bilanciamento con l’interesse preminente del minorenne, in tutti quei casi in cui si discuta del suo status e il suo riconoscimento possa rivelarsi contrario al suo best interest, considerato anche che proprio il bilanciamento degli interessi richiede sempre e comunque la valutazione individuale del caso concreto, pena la contrarietà alla Costituzione (cfr. l’argomentazione di C. Cost. 33/2021; C. Cost. 272/2017; C. Cost. 76/2017; C. Cost. 17/2017; C. Cost. 239/2014), con incostituzionalità di ogni automatismo che potrebbe risolversi in un pregiudizio per gli stessi interessi del minorenne (cfr. ad es. C. Cost. 102/2020; C. Cost. 272/2017; C. Cost. 31/2012; C. Cost. 494/2002).
LO SVOLGIMENTO DELL’ISTRUTTORIA
Se il Giudice ritiene di proseguire il giudizio, si apre la fase istruttoria.
La legge delega non prevede uno schema formale rigido: sembra in ogni caso assente l’obbligatoria produzione di memorie istruttorie delle parti, in considerazione della produzione documentale imposta sin dai primi atti. L’ c. 23, lett. r, precisa solo che il giudice «ammett[e] le prove o adott[a] gli altri provvedimenti istruttori, fissando l’udienza per la prosecuzione del giudizio».
Nello svolgimento dell’attività istruttoria vigono le regole già oggi previste. Ma il giudice, anche relatore, potrà «disporre d’ufficio mezzi di prova a tutela dei minori, nonché delle vittime di violenze, anche al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, sempre garantendo il contraddittorio e il diritto alla prova contraria, disciplinando i poteri officiosi di indagine patrimoniale» (c. 23, lett. t).
È così consacrato anche nell’eventuale fase istruttoria il canale preferenziale di tutela delle posizioni particolarmente vulnerabili nel processo di famiglia, che già in fase introduttiva porta ad esempio all’abbreviazione dei termini e all’assunzione immediata di provvedimenti urgenti (c. 23, lett. b), anche inaudita altera parte (c. 23, lett. f); e, nei casi di violenza di genere o domestica, all’esclusione radicale della possibilità di ricorrere alla mediazione familiare (c. 23, lett. f e lett. n), alla possibilità che una o entrambe le Parti non compaiano personalmente alla prima udienza (c. 23, lett. l) o che compaiano in orari differiti (c. 23, lett. m), e all’esclusione del tentativo di conciliazione (c. 23, lett. m). Tra le questioni concernenti la «tutela dei minori» debbono essere probabilmente annoverati anche i «comportamenti di un genitore tali da ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore e la conservazione di rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale», fattispecie per la quale pure è prevista l’abbreviazione dei termini processuali (c. 23, lett. aa).
ASCOLTO DEL MINORE
L’ascolto del minore può avvenire anche in assenza di istanze di parte; è obbligatorio «qualora un figlio minore rifiuti di incontrare uno o entrambi i genitori» in presenza di allegazione di violenza domestica o di genere (c. 23, lett. b); può coinvolgere anche il minore infradodicenne «ove capace di esprimere la propria volontà».
L’ascolto non può essere delegato (c. 23, lett. t). Sembra escluso in via radicale e definitiva che esso avvenga ad esempio tramite Servizi Sociali. È espressamente vietata la delega ai Giudici onorari, nell’attuale Tribunale per i Minorenni (c. 23, lett. c). Ciò però non esclude l’ascolto da parte del Giudice togato assieme al Giudice onorario. Non ritengo neanche che siano escluse anche le ipotesi di ascolto “assistito”, ad esempio da Consulente Tecnico d’Ufficio psicologo o psichiatra. Tali competenze si rivelano infatti di particolare utilità per comprendere appieno se il minorenne infradodicenne sia effettivamente «capace di esprimere la propria volontà»; e, in via generale e per tutte le fasce d’età, se e quanto l’opinione espressa sia genuina o non. L’ascolto “assistito” è comunque espressamente previsto in caso di minorenni vittime di violenza domestica o di genere (c. 23, lett. b). In questo caso, considerata l’estrema delicatezza dell’adempimento processuale, appare opportuno che il Legislatore delegato disciplini anche quali siano le modalità per la sua esecuzione.
L’ascolto sarà sempre videoregistrato (c. 23, lett. s). E’ auspicabile, per evitare derive inquisitorie, che il legislatore delegato preveda espressamente l’accesso della videoregistrazione alle Parti, tramite i difensori, in attuazione dei diritti al contraddittorio e di difesa.
IL GIUDICE GESTORE DELLA CRISI GENITORIALE
Un elemento di novità estremamente significativa della Riforma si rinviene nei poteri non istruttori né decisori, ma puramente “gestori” che vengono attribuiti al giudice.
Sin dal primo atto ciascuna delle Parti, in presenza di figli minorenni, deve depositare un “piano genitoriale”, inteso come planning settimanale che «illustri gli impegni e le attività quotidiane dei minori, relativamente alla scuola, al percorso educativo, alle eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e ricreative, alle frequentazioni parentali e amicali, ai luoghi abitualmente frequentati, alle vacanze normalmente godute» (così la lettera dell’ c. 23, lett. f; cfr. anche c. 23, lett. h). Primo obiettivo della disposizione è di permettere al giudice di conoscere subito la situazione concreta del figlio minorenne, per disciplinarne adeguatamente affidamento, collocamento e diritto di visita.
Il medesimo piano genitoriale, però, può essere oggetto di successivi aggiustamenti anche da parte del giudice: sin dai provvedimenti provvisori ed urgenti, può formulare una “proposta” di piano genitoriale; essa può essere accettata anche parzialmente dalle parti genitoriali; stabilito il piano, le Parti ne devono dare attuazione: l’inadempimento costituisce un «comportamento sanzionabile ai sensi dell’art. 709-ter del codice di procedura civile» (c. 23, lett. r).
Gli effetti secondari della disposizione sono evidenti: evitare i prevedibili dissidi che oggi comportano una serie di sub-procedimenti che spesso minano l’efficacia e la tempestività dell’intervento giudiziario. Non sfugge però che al giudice venga attribuita una funzione ulteriore rispetto alla classica (e inabdicabile) funzione decisionale: quella di individuare un punto di incontro nella gestione dei figli minori, che trascolora nella gestione della genitorialità in crisi.
Nella stessa direzione sembra possa essere letto l’art. 1, c. 23, lett. g, che impone al giudice di indicare quali comunicazioni i genitori debbano scambiarsi obbligatoriamente, salvi i casi di limitazione della responsabilità genitoriale.
LA CONCLUSIONE DELLA FASE ISTRUTTORIA E LA FASE DECISORIA
L’ art. 1, c. 23, lett. z disciplina infine la conclusione della fase istruttoria. È il giudice relatore (in armonia in realtà con quanto oggi stabilito in via generale dall’art. 187, c. 1, c.p.c.) che stabilisce quando l’istruttoria sia esaurita, fissando davanti a sé l’udienza di rimessione della causa in decisione con assegnazione per gli scritti difensivi finali. Lo schema che sembra emergere dalla disposizione è quello della discussione orale oggi prevista dall’art. 281-sexies c.p.c.: scritti difensivi anteriori all’udienza, discussione innanzi al giudice, rimessione al Collegio e provvedimento nei successivi 60 giorni. Da principio di delega, il provvedimento ha la forma della sentenza, con ciò escludendo in via definitiva la distinzione oggi presente tra procedimenti che si concludono con decreto e procedimenti che si concludono con sentenza. Con tutte le relative conseguenze sull’appello, che la Legge delega prevede stringatamente sia disciplinato in via autonoma.
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