Dopo il comunicato stampa del 27 aprile 2022[1], alla fine di maggio è stata depositata l’attesa sentenza n. 131/2022 della Corte costituzionale sull’attribuzione del cognome ai figli: la pronuncia si è occupata della norma che non consentiva ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della madre ed imponeva, in mancanza d’accordo, il solo cognome del padre anziché quello di entrambi i genitori (art. 262, co. 1, secondo periodo, codice civile). La prima questione era scaturita dalla rimessione del Tribunale di Bolzano: poi, durante il giudizio, la Corte aveva disposto la trattazione innanzi a sé della seconda questione[2].
Il Giudice costituzionale ha risolto le due questioni con una sentenza manipolativa di tipo sostitutivo dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 262, comma 1°, secondo periodo, c.c. – per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, comma 1°, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) – nella parte in cui prevede, con riguardo all’ipotesi del riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, che il figlio assume il cognome del padre, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto[3]. In via consequenziale ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi, l’automatica attribuzione del cognome del padre[4]. Inoltre, ha precisato che, in mancanza di un accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice, conformemente a quanto già dispone l’ordinamento giuridico per risolvere il contrasto fra i genitori su scelte di particolare rilevanza riguardanti i figli, almeno fino a quando il legislatore non individui nuovi e diversi criteri[5].
La previsione censurata è stata oggetto di reiterati interventi e, a partire dal 1988, la Corte costituzionale ha affermato che «sarebbe possibile, e probabilmente consentaneo all’evoluzione della coscienza sociale, sostituire la regola vigente in ordine alla determinazione del nome distintivo dei membri della famiglia costituita dal matrimonio con un criterio diverso, più rispettoso dell’autonomia dei coniugi, il quale concilii i due principi sanciti dall’art. 29 Cost., anziché avvalersi dell’autorizzazione a limitare l’uno in funzione dell’altro»[6]. La Consulta ha poi rimarcato «che l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna»[7].
Più di recente, visto il mancato intervento del legislatore, seppure invocato come indifferibile, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno, estendendo i suoi effetti, in via consequenziale, sia alla previsione relativa al riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio effettuato contemporaneamente dai due genitori che a quella sull’attribuzione del cognome all’adottato da parte di coniugi[8]. Questa decisione ha tenuto conto della pronuncia resa dalla Corte EDU nel 2014, che ha riscontrato la violazione dell’art. 14 CEDU, in combinato disposto con l’art. 8, a causa dell’impossibilità per i ricorrenti, al momento della nascita della figlia, di far iscrivere quest’ultima nei registri dello stato civile attribuendole il solo cognome della madre[9]. La Corte di Strasburgo ha rilevato come tale impossibilità derivasse da una lacuna del sistema giuridico italiano, che comportava la necessità di riformare la legislazione e/o la prassi allo scopo di rendere la disciplina compatibile con le esigenze degli artt. 8 e 14 CEDU, ritenendo che non fosse sufficiente la successiva autorizzazione amministrativa a cambiare il cognome dei figli minori per aggiungere a quello paterno il cognome della madre.
Nella pronuncia in commento, la Corte costituzionale sottolinea come le questioni da risolvere vedano l’intreccio di due differenti valori: da un lato, l’identità personale del figlio e, dall’altro lato, l’eguaglianza tra i genitori. Difatti, il nome è autonomo segno distintivo dell’identità personale, tratto essenziale della personalità e diritto fondamentale della persona umana. Il cognome, assieme al prenome, è il fulcro dell’identità giuridica e sociale poiché collega l’individuo alla formazione sociale che lo accoglie tramite lo status filiationis: il «cognome deve, pertanto, radicarsi nell’identità familiare e, al contempo, riflettere la funzione che riveste, anche in una proiezione futura, rispetto alla persona (Corte cost., n. 286/2016). Sono, dunque, proprio le modalità con cui il cognome testimonia l’identità familiare del figlio a dover rispecchiare e rispettare l’eguaglianza e la pari dignità dei genitori»[10]. Di contro, l’automatismo imposto esprime una diseguaglianza fra i genitori, che si riverbera e si imprime sull’identità del figlio, così determinando la contestuale violazione degli artt. 2 e 3 Cost. e potendo mettere a rischio la stessa unità familiare.
La Corte costituzionale è comunque consapevole di alcuni problemi che inevitabilmente insorgeranno e rivolge così anche un duplice invito al legislatore. Anzitutto, nel succedersi delle generazioni, occorre impedire un meccanismo moltiplicatore che sarebbe parimenti lesivo della funzione identitaria del cognome: la Consulta suggerisce l’opportunità di una scelta, da parte del genitore titolare del doppio cognome, di quello dei due che vuole sia rappresentativo del rapporto genitoriale, a meno che i due genitori non decidano di comune accordo per l’attribuzione soltanto del doppio cognome di uno di loro[11].
In secondo luogo, il legislatore dovrà valutare l’interesse del figlio a non vedersi attribuito un cognome differente rispetto a quello di fratelli e sorelle. Al riguardo, la Corte suggerisce di riservare le scelte relative all’attribuzione del cognome al momento del riconoscimento contemporaneo del primo figlio della coppia o al momento della sua nascita nel matrimonio oppure alla sua adozione, rendendole poi vincolanti rispetto ai successivi figli dei medesimi genitori[12].
Preme sottolineare che il lungo lasso di tempo trascorso dalle prime pronunce in materia, l’inerzia del legislatore[13] e la giurisprudenza della Corte EDU hanno spinto la Corte costituzionale all’autorimessione per risolvere compiutamente (tranne che per gli effetti conseguenti) il problema dell’attribuzione del cognome ai figli, ben più di quanto abbia fatto l’invocato rapporto di presupposizione e di continenza tra la questione specifica dedotta dal giudice a quo e quella nascente dai dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla Corte stessa, facendole ritenere che «la risoluzione della questione avente ad oggetto l’art. 262, primo comma, c.c., nella parte in cui impone l’acquisizione del solo cognome paterno, si configura come logicamente pregiudiziale e strumentale per definire le questioni sollevate dal giudice a quo»[14].
La Corte costituzionale non ha voluto limitarsi ad una sentenza additiva, come richiesto dal Tribunale di Bolzano ma ha inteso ampliare il petitum – suscitando perplessità in punto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di sussistenza del requisito della rilevanza – perché, come la stessa spiega, «il modo in cui occasionalmente sono poste le questioni incidentali di legittimità costituzionale non può impedire al giudice delle leggi l’esame pieno del sistema nel quale le norme denunciate sono inserite»[15] e «d’altra parte, ancorché siano legittimamente prospettabili soluzioni normative differenziate, l’esame di queste specifiche istanze di tutela costituzionale, attinenti a diritti fondamentali, non può essere pretermesso, poiché “l’esigenza di garantire la legalità costituzionale deve, comunque sia, prevalere su quella di lasciare spazio alla discrezionalità del legislatore per la compiuta regolazione della materia”»[16].
Gli stessi motivi hanno reso la Corte parimenti determinata nel rivolgere i due inviti conclusivi al legislatore non mancando di offrire precisi suggerimenti per ovviare agli effetti secondari dell’attribuzione del doppio cognome.
[13] Nella precedente legislatura la Camera aveva approvato un testo che, però, si è poi arenato al Senato; in quella in corso, le proposte di legge presentate da inizio legislatura sono numerose.
[14] Corte cost., ord. n. 18/2021, cons. 18; sent. n. 131/2022, rit. fatto § 2.1.
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