Con l’ordinanza in commento, la Corte Costituzionale ha sollevato innanzi a sé questione di legittimità costituzionale del quarto periodo dell’art. 13, comma 2, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 1, comma 707, lett. b), della l. 27 dicembre 2013, n. 147 («Legge di Stabilità 2014»), nella parte in cui, ai fini del riconoscimento dell’esenzione dall’imposta municipale unica (di seguito, “IMU”), definisce l’«abitazione principale» come quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale del possessore (soggetto passivo) e del suo nucleo familiare.
La tematica afferisce all’individuazione del concetto di “abitazione principale” rilevante ai fini della concessione dell’esenzione dall’IMU; in particolare, ai sensi dell’art. 13, comma 2, d.l. n. 201/2011, se i componenti del nucleo familiare avessero stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si sarebbero applicate per un solo immobile.
In base a quanto riportato dalla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Napoli remittente, il contribuente ha rivendicato il diritto all’esenzione sul presupposto che l’immobile costituisse residenza anagrafica e dimora abituale dell’intero nucleo familiare, mentre il Comune di Napoli ha negato tale diritto sull’assunto che il nucleo familiare non risiedeva «interamente» nel medesimo immobile, avendo un coniuge trasferito la propria residenza in un diverso Comune.
La CTP di Napoli si è ritenuta impossibilitata a compiere un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 13, comma 2, d.l. n. 201/2011 in ragione della sussistenza di due differenti ed ossimorici orientamenti:
la giurisprudenza di legittimità – in maniera restrittiva e rigorosa – non ha ritenuto possibile dare luogo al riconoscimento della suddetta esenzione per il solo fatto che un componente della famiglia risiedesse in un altro Comune[1]. In particolare, l’abitazione principale esente dall’IMU sarebbe soltanto quella ove il proprietario e la sua famiglia abbiano fissato la residenza (accertabile tramite i registri dell’anagrafe) e la dimora abituale;
il Ministero dell’Economia e delle Finanze, invece, non ha ravvisato nella residenza di un componente del nucleo familiare in un diverso Comune elemento suscettibile di precludere, ex se, l’agevolazione, posto che il “il limite quantitativo” sarebbe espressamente riferito ai soli immobili situati nel medesimo Comune[2].
Nonostante la dimostrazione della sussistenza dei presupposti di legge (i.e., l’unicità dell’immobile, la classificazione, la tipologia di accatastamento, la residenza anagrafica e la dimora abituale del nucleo familiare), il contribuente si è visto negare l’agevolazione esclusivamente per il fattore geografico della residenza del coniuge in un diverso Comune.
La CTP di Napoli, dopo aver fatto proprie le doglianze del contribuente, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale in ragione della presunta violazione delle seguenti norme costituzionali:
l’art. 3 Cost., in quanto il mancato riconoscimento dell’esenzione, laddove uno dei componenti del nucleo familiare sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in un altro Comune, determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento, tra l’altro fondata su un «neutro dato geografico […] a parità di situazione sostanziale», tra il possessore componente di un nucleo familiare residente e dimorante in due diversi immobili dello stesso Comune e quello il cui nucleo familiare, invece, risieda e dimori in immobili ubicati in Comuni diversi;
l’art. 53, comma 1°, Cost., poiché si applicherebbe un trattamento fiscale differenziato ed irragionevole, violando il principio di capacità contributiva, in ragione di un elemento privo di rilevanza fiscale quale l’ubicazione territoriale dell’immobile e di un componente del nucleo familiare;
l’art. 53, comma 2, Cost., atteso l’effetto, tendenzialmente, regressivo prodotto dalla norma censurata di assicurare l’agevolazione ad un contribuente con maggiore capacità contributiva titolare di più immobili nel Comune e non già ad un contribuente, avente minore capacità contributiva, titolare di un unico immobile nel Comune, ma con un membro del nucleo familiare privo residenza e dimorante nel medesimo Comune;
gli artt. 3, 29 e 31 Cost., poiché si escluderebbe, in ragione della residenza in Comuni diversi, il diritto all’esenzione per i soggetti legati da vincolo coniugale, mentre lo si riconoscerebbe ai conviventi more uxorio, cui spetterebbe addirittura per entrambi i cespiti, determinando un’irrazionale discriminazione a discapito della famiglia fondata sul matrimonio;
gli artt. 1, 3, 4 e 35 Cost. per pregiudicare irragionevolmente i lavoratori che si trovano lontani dalla famiglia tanto da impedire a sé e agli altri componenti del nucleo familiare di godere dell’agevolazione;
l’art. 47, comma 2, Cost. per disincentivare gli investimenti in immobili ubicati in Comuni diversi da quelli di residenza anagrafica del nucleo familiare.
Nell’accogliere la questione sollevata dal giudice a quo, la Consulta ha riconosciuto che l’art. 13, comma 2, d.l. n. 201/2011 subordina il riconoscimento dell’esenzione IMU alla duplice condizione della residenza anagrafica e della dimora abituale del possessore dell’immobile e del suo nucleo familiare nel medesimo Comune. Come – tra l’altro, giustamente osservato dalla Corte – il nesso con il nucleo familiare non era presente nell’originaria disciplina dell’IMU, di cui all’art. 8, d. lgs. 14 marzo 2011, n. 23, e nemmeno nella successiva formulazione del citato art. 13, comma 2, d.l. n. 201/2011 in cui l’agevolazione, che – in precedenza, invece, si traduceva soltanto in una notevole riduzione dell’aliquota – era riconosciuta per l’immobile in cui il solo possessore dimorava abitualmente e risiedeva anagraficamente.
La dottrina ha – da tempo – ritenuto che la norma de qua non fosse prettamente in linea con i dettami costituzionali già citati dalla CTP remittente per la ragioni sopramenzionate[3]. A differenza della disciplina dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esenzione dall’IMU spetterebbe soltanto alla casa in cui la famiglia ha fissato la propria residenza e dimora abituale tanto che, qualora i coniugi (non separati) avessero vissuto in Comuni diversi, l’esenzione non sarebbe spettata su alcuna abitazione, a causa dell’impossibile di ravvisare un’unica dimora per l’intero nucleo familiare[4].
A ben vedere, l’agevolazione in parola sembrerebbe porsi in contrasto anche con il presupposto dell’IMU, tra l’altro ereditato dall’ICI, individuato nel possesso degli immobili da intendere quale peculiare relazione di fatto e di diritto del soggetto passivo con l’immobile, a prescindere dalla natura dello stesso, sia esso persona fisica che giuridica[5]. Ed infatti, l’esenzione dall’IMU si fonderebbe sull’esistenza di elementi ultronei che nulla hanno a che vedere con la conformazione del presupposto del tributo.
Probabilmente, la ratio ispiratrice della novella diretta a correlare i benefici previsti per l’abitazione principale (ed eventuali pertinenze) al soggetto passivo e al suo nucleo familiare, unificando al tempo stesso i concetti di “residenza anagrafica” e di “dimora abituale” era diretta a contrastare eventuali condotte elusive da parte dei coniugi (non legalmente separati), come già avvenuto in tema di ICI in relazione al fenomeno delle c.d. “residenze fittizie”[6].
Elemento cruciale, sottoposto al sindacato di costituzionalità della norma censurata, si ravvisa nel fatto che, per beneficiare dell’agevolazione, non parrebbe avere un ruolo preponderante il possesso dell’immobile a discapito, invece, dell’attribuzione di valore pregnante alla residenza e alla dimora abituale del contribuente e dei membri del suo nucleo familiare nel medesimo Comune di ubicazione dell’immobile[7]. Tuttavia, il venire meno di tale condizione per le ragioni più svariate – per lo più oggigiorno dettate da esigenze lavorative – avrebbe fatto venire meno il diritto a godere dell’agevolazione.
Fra i vari fattori negativi, si ravvisa – come correttamente sottolineato dalla CTP remittente – la produzione di un effetto regressivo a causa dell’assurdo risultato di garantire l’agevolazione ad un contribuente titolare di più immobili nel Comune, ma non a quello titolare di un unico immobile non in grado di soddisfare la duplice condizione richiesta per l’esenzione dall’IMU. In sostanza, un tale effetto si pone in netta controtendenza rispetto alla funzione assolta dal tributo quale utile strumento per correggere le distorsioni e le imperfezioni nella distribuzione della ricchezza a favore delle libertà, sia esse individuali che collettive, e a tutela dei diritti sociali[8].
Il ragionamento del giudice a quo, accolto dalla Consulta, si fonda principalmente sulla natura discriminatoria del trattamento fiscale riservato al nucleo familiare con riguardo sia alle persone singole che alle coppie di fatto[9], poiché, sino al matrimonio o all’unione civile, la struttura della norma avrebbe consentito a ciascuno dei partner di accedere all’esenzione della, rispettiva, abitazione principale.
Uno dei passi argomentativi enunciati dalla Corte Costituzionale riguarda il rapporto tra la famiglia e l’imposizione fiscale, che, già nella più risalente giurisprudenza costituzionale, ha visto prevalere l’esigenza di tutela della famiglia a discapito degli interessi erariali. In particolare, con la sentenza 15 luglio 1976, n. 179, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni dell’imposta complementare e dell’imposta sui redditi che prevedevano il cumulo dei redditi dei coniugi da assoggettare al prelievo fiscale, disponendo che «non è dimostrato né dimostrabile, anche per la grande varietà delle possibili ipotesi e delle situazioni concrete (caratterizzate tra l’altro, dalla esistenza dei figli), che in ogni caso» per effetto del matrimonio «si abbia un aumento della capacità contributiva dei due soggetti insieme considerati».
L’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma de qua, a fronte dei vari interventi normativi di modifica susseguitisi nel corso del tempo, esplicherebbe, ciò nonostante, rilievo rispetto ai processi in corso.
Questa norma, infatti, è stata abrogata ad opera della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (“Legge di Bilancio 2020”) e, sebbene la precedente formulazione dell’art. 1, comma 741, lett. b), della Legge di Bilancio 2020 fosse aderente a quella del citato art. 13, con la novella attuata tramite l’art. 5-decies, d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2021, n. 215, la situazione è radicalmente mutata. Il vigente art. 1, comma 741, lett. b), della Legge di Bilancio 2020 dispone che se i componenti del nucleo familiare hanno stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel medesimo Comune o in Comuni diversi, l’agevolazione per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, appositamente scelto dai componenti del nucleo familiare.
[1]Ex multis, v. Cass., sez. VI, 21 giugno 2017, n. 15444, ove si afferma che «un’unità immobiliare può essere riconosciuta abitazione principale solo se costituisca la dimora abituale non solo del ricorrente, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione nell’ipotesi in cui tale requisito sia riscontrabile solo nel ricorrente ed invece difetti nei familiari». Cass., sez. VI, 17 maggio 2018, n. 12050, ha precisato che il «contribuente provi che l’abitazione costituisce dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione ove tale requisito sia riscontrabile solo per il medesimo. (In applicazione di tale principio gli Ermellini hanno confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la detrazione sulla base dell’accertamento che l’immobile costituisse dimora abituale del solo ricorrente e non della di lui moglie). Infatti, per il sorgere del diritto alla detrazione non è sufficiente che il contribuente dimori abitualmente nell’unità immobiliare se il coniuge, non separato legalmente, dimori altrove». Ancora, in Cass., sez. V, 22 novembre 2019, n. 5314, si legge che «un’unità immobiliare può essere riconosciuta abitazione principale solo se costituisca dimora abituale non solo nel ricorrente, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione nell’ipotesi in cui tale requisito sia riscontrabile solo nel ricorrente ed invece difetti nei familiari». Recentemente, Cass., sez. VI, 19 febbraio 2020, n. 4166, e Cass., sez. VI, 19 febbraio 2020, n. 4170, hanno specificato che «l’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Ciò comporta la necessità che in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare dimorino ivi stabilmente e vi risiedano anagraficamente». Tale orientamento è stato confermato anche da Cass., sez. V, 17 giugno 2021, n. 17408.
[2] Ministero dell’Economia e delle Finanze, Circolare: Imposta municipale propria (IMU). Anticipazione sperimentale. Art. 13 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Chiarimenti, 18 maggio 2012, n. 3/DF, 10 ss.
[3] Fra i vari, v. E. De Mita, Gli interventi della Corte costituzionale spronano il legislatore a efficienza ed equità, in Il Sole 24Ore, 10 gennaio 2022; G. Salanitro, Agevolazione abitativa ICI a coniugi non coabitanti solo se separati di fatto – Agevolazione per l’abitazione principale nella disciplina dell’ICI e dell’IMU e nucleo familiare, tra separazione di fatto, nullità del matrimonio, residenza della famiglia e convivenze, in GT – Riv. giur. trib., 2021, 2, 123 ss.; L. Lovecchio, Il MEF esclude le sanzioni per la mancata scelta in dichiarazione dell’abitazione principale esente IMU, in Il fisco, 2022, 9, 845 ss.; A. Piccolo, Niente agevolazioni IMU a coniugi con residenze in Comuni diversi, in Il fisco, 2020, 41, 3980 ss.
[4] S. Fossati, La Consulta censura le regole Imu: sfavoriscono le famiglie, in Il Sole 24Ore, 13 aprile 2022.
[5] M. Basilavecchia, Profili generali dell’imposta comunale sugli immobili, in Rass. trib., 1999, 5, 1354; A. Fedele, Imposte reali ed imposte personali nel sistema tributario italiano, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2002, 1, 460; R. Lancia, La soggettività passiva tributaria del coniuge, ai fini Ici, non scompare a seguito della separazione consensuale, in questa Rivista, 1° aprile 2022, 1 ss..
[6] A. Piccolo, Abitazioni principali esenti dall’IMU anche se i coniugi risiedono in Comuni diversi, in Il fisco, 2020, 38, 3690 ss.
[7] S. Loconte, Residenze coniugali “scisse” in Comuni diversi: esenzione IMU solo per un immobile, in Il fisco, 2022, 15, 1443 ss.
[8] Così, F. Gallo, Il tributo quale indispensabile strumento di politiche ridistributive, in Rass. trib., 2021, 2, 273 ss.; E. Vanoni, La finanza e la giustizia sociale, in A. Tramontana (a cura di), Scritti di finanza pubblica e di politica economica, Padova, 1976, 103 ss.
[9] Sulla rilevanza ai fini fiscali delle coppie more uxorio, A. Turchi, Unione civile, convivenze di fatto e imposizione reddituale, in Rass. trib., 2021, 3, 121 ss.; R. Lancia, Il trattamento fiscale relativo al contributo per il pagamento del canone di locazione corrisposto all’ex convivente, in questa Rivista, 14 marzo 2022, 1 ss..
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