Divisione della casa familiare in comproprietà tra i coniugi ed assegnata ad uno di essi in sede di separazione personale o divorzio: la determinazione del valore del bene
Con la pronuncia in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla delicata questione della divisione della casa familiare in comproprietà fra i coniugi ed assegnata ad uno di essi in sede di separazione personale.
La sentenza si segnala per aver posto fine all’annosa questione concernente il valore da attribuire all’immobile in sede di divisione. In precedenza, infatti, si discuteva se in sede di divisione della casa adibita a residenza familiare e di sua assegnazione ad uno dei coniugi comproprietari occorresse tener conto, nella determinazione del conguaglio da liquidare all’altro, della diminuzione del valore commerciale dell’immobile conseguente alla presenza, sul medesimo, del diritto di godimento del coniuge collocatario oppure se il conguaglio dovesse essere determinato in rapporto al valore venale del bene, dunque senza tener conto della diminuzione di valore discendente dal provvedimento di assegnazione.
Prima di tale arresto si contrapponevano due orientamenti in giurisprudenza.
Il primo sosteneva che «l’assegnazione del godimento della casa familiare, in sede di separazione personale o divorzio non può formare oggetto di considerazione, in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determinare il valore di mercato del bene, qualora l’immobile venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento sullo stesso; tale diritto, infatti, è attribuito nell’esclusivo interesse dei figli e non del coniuge affidatario cosicché, decurtandone il valore dalla stima del cespite, si realizzerebbe una indebita locupletazione a favore del medesimo coniuge affidatario, potendo egli, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun vincolo e per il prezzo integrale»[1].
Il secondo sosteneva invece che «l’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi per nove anni, e, in caso di trascrizione, senza limite di tempo) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non sia eventualmente modificato, sicché nel giudizio di divisione se ne deve tenere conto indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro coniuge ovvero venduto a terzi” [2].
Alla luce di tali diversi orientamenti la Corte di Cassazione, con ordinanza del 19 ottobre 2021, n. 28871, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, dando atto dell’esistenza di siffatto contrasto giurisprudenziale sulla divisione giudiziale della casa familiare assegnata ad un coniuge e, in particolare, segnalando la questione relativa alla necessità o meno di tenere conto della diminuzione del valore commerciale dell’immobile adibito a casa familiare, conseguente alla presenza sul medesimo del diritto di godimento del coniuge collocatario della prole.
Le Sezioni Unite, nel dirimere il contrasto giurisprudenziale, prendono le mosse dalle caratteristiche dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare. I giudici di legittimità ribadiscono come la finalità dello stesso sia quella di tutelare la prole, garantendo il suo diritto alla conservazione delle abitudini e degli spazi in cui si svolgeva la vita familiare.
Tramite il provvedimento di assegnazione, pertanto, viene a costituirsi un vincolo di destinazione sui generis sulla casa familiare e si costituisce, in favore del coniuge assegnatario, un diritto personale di godimento atipico di natura familiare ed a carattere non patrimoniale.
Tale provvedimento, ricorda il Supremo Collegio, anche se non trascritto, è opponibile al terzo acquirente in data successiva allo stesso per la durata di nove anni dalla data dell’assegnazione e, in caso di sua trascrizione in data antecedente all’acquisto del terzo, anche oltre i nove anni.
Attraverso il provvedimento di assegnazione in parola, il coniuge assegnatario, anche nel caso in cui l’immobile sia in comproprietà con l’altro coniuge, consegue il diritto all’uso esclusivo del bene che comporta la sottrazione del medesimo all’uso ed al godimento del coniuge comproprietario. Tale sottrazione si traduce in un pregiudizio economico per il coniuge (comproprietario e) non assegnatario che è valutabile ai fini della determinazione dell’assegno in favore del coniuge assegnatario.
Ciò precisato in via preliminare la Corte ha affrontato nello specifico il tema sul quale era sorto contrasto giurisprudenziale e, nel dirimere lo stesso, ha distinto il caso in cui l’immobile sia assegnato, in sede di divisione, al coniuge assegnatario da quello in cui lo stesso sia assegnato al coniuge non destinatario del provvedimento di assegnazione.
Se in sede di divisione la casa familiare venga attribuita in proprietà esclusiva al coniuge che già ne godeva in forza del provvedimento di assegnazione, il valore da considerare ai fini della determinazione del conguaglio in favore dell’altro coniuge è quello pieno. Secondo le Sezioni Unite, infatti, nel caso di specie «va affermato che l’attribuzione dell’immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva dell’assegnatario in sede di divisione configura una causa automatica di estinzione del diritto di godimento con tale destinazione, che comporta il conferimento allo stesso immobile di un valore economico pieno, corrispondente a quello venale di mercato».
In tal caso, infatti, la concentrazione in capo alla stessa persona del diritto di godimento (discendente dal provvedimento di assegnazione) e del diritto dominicale sull’immobile fa sì che lo stesso rimanga in capo alla medesima privo di vincoli. Ne deriva che l’immobile attribuito in proprietà esclusiva al coniuge già assegnatario della casa coniugale non può considerarsi decurtato di alcuna utilità, poiché le qualità di titolare del diritto dominicale e di titolare del diritto di godimento vengono a coincidere. Sull’immobile dunque non sorge alcun diritto altrui che ne limiti le facoltà di godimento del coniuge attributario dell’intero per cui non può ravvisarsi alcuna diminuzione di valore del bene stesso.
Ove dal valore del bene venisse decurtato quello del diritto di godimento già spettante al coniuge attributario, il coniuge non assegnatario verrebbe ingiustamente penalizzato dalla corresponsione di una somma non corrispondente alla metà (nell’ipotesi di antecedente comproprietà al 50%) dell’effettivo valore venale del bene.
Se dunque il coniuge attributario dell’immobile decidesse, in seguito alla divisione, di rivenderlo a terzi (nel caso in cui decidesse, ad esempio, di trasferire altrove la residenza comune con i figli, così rendendo l’immobile libero), potrebbe ricavare dalla vendita l’intero prezzo di mercato, senza alcuna diminuzione.
In tale fattispecie, tuttavia, il coniuge al quale la casa familiare sia attribuita in sede di divisione potrebbe «eventualmente chiedere l’adeguamento del contributo di mantenimento dei figli all’altro coniuge-genitore, in quanto nella determinazione del relativo assegno, pur venendo meno la componente inerente l’assegnazione della casa familiare, il genitore, non residente con i figli o non affidatario, rimane obbligato a soddisfare pro quota il diritto dei figli (minori o ancora non autosufficienti) a poter usufruire di un’adeguata abitazione» (v. Cass., sez. I, n. 16739/2020).
Del pari, continua la Corte, «non può nemmeno escludersi che, a seguito dell’estinzione del vincolo di destinazione a casa familiare (derivante dagli effetti della divisione), si possa convenire tra i coniugi separati (o divorziati), in sede di revisione dei provvedimenti afferenti agli assetti familiari, un affidamento dei figli al coniuge non attributario, all’esito della divisione, dell’immobile già avente detta destinazione, con una correlata nuova regolamentazione della contribuzione per i figli (fino al raggiungimento della loro autosufficienza), in ipotesi anche con esonero dall’assolvimento di tale obbligo per effetto dell’accordo tra gli stessi (ex) coniugi».
A diverse conclusioni deve invece giungersi nel caso in cui, in sede di divisione, il bene venga attribuito al coniuge non collocatario della prole e, dunque, non destinatario del provvedimento di assegnazione della casa familiare.
In tal caso, infatti, il valore da tenere in considerazione ai fini della determinazione del conguaglio deve tener conto della presenza di un provvedimento di assegnazione dell’immobile all’altro coniuge.
Per i giudici di legittimità «nell’ipotesi in cui la comunione immobiliare venga sciolta a seguito della divisione giudiziale con l’attribuzione dell’immobile in proprietà esclusiva a favore del coniuge non assegnatario dello stesso quale casa coniugale (e non affidatario della prole), quest’ultimo si troverà in una situazione comparabile a quella del terzo acquirente dell’intero (a seguito di aggiudicazione in esito al procedimento divisionale, con le relative valutazioni del caso ad opera dell’ausiliario tecnico del giudice), ovvero diventerà titolare di un diritto di proprietà il cui valore dovrà essere decurtato dalla limitazione delle facoltà di godimento da correlare all’assegnazione dell’immobile al coniuge affidatario della prole, permanendo il relativo vincolo sullo stesso con i relativi effetti pregiudizievoli derivanti anche dalla sua trascrizione ed opponibilità ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c.».
In tale ultimo caso, pertanto, il coniuge attributario dell’immobile dovrà sopportare la sussistenza di un vincolo sul bene, rappresentato dalla presenza di un provvedimento di assegnazione in favore dell’altro. Questa circostanza, implicando una limitazione delle facoltà di godimento del bene, si traduce inevitabilmente in una diminuzione di valore dello stesso, da tenere in considerazione ai fini della quantificazione del conguaglio.
[1] In tal senso, Cass., 17 settembre 2001, n. 11630; Cass., 19 dicembre 2014, n. 27128; Cass., 9 settembre 2016, n. 17843; Cass., 20 dicembre 2018, n. 33069.
[2] Così, Cass., 15 ottobre 2004, n. 20319; Cass., 22 aprile 2016, n. 8202.
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