Il dissenso del minore alla pubblicazione delle proprie immagini in rete

Di EMANUELA MOROTTI -

Sommario: 1. La normativa di riferimento – 2. Il disaccordo tra genitori – 3. Il disaccordo tra genitori e figli – 4. Le difficoltà di verificare in concreto la capacità di autodeterminazione del minore – 5. La semplificazione del sistema: il dissenso del minore vieta la pubblicazione, qualunque sia la sua età.

 

 

  1. La normativa di riferimento

Nell’ordinamento italiano il diritto di immagine sul proprio ritratto trova storicamente il suo primo riconoscimento nella l. 22 aprile 1941, n. 633, avente ad oggetto la tutela del diritto d’autore, dove gli artt. 96 e 97 c.c. dispongono che il ritratto di una persona non possa essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salvo il caso in cui la riproduzione dell’immagine sia «giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione sia collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico». In ogni caso, «il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata».

Con l’entrata in vigore del Codice civile del ’42, il Legislatore offre una specifica disciplina per l’ipotesi di abuso dell’immagine, prevedendo all’art. 10 c. c. che «qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni».

Ad occuparsi specificamente dell’immagine del minore è la Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con la l. 27 maggio 1991, n. 176, che prevede, all’art. 16, che «nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua riputazione. Il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti».

Più di recente, il Regolamento UE 679 del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati[1], dedica l’art. 8 alle condizioni applicabili al consenso dei minori in relazione ai servizi della società dell’informazione, affermando, al comma 1°, che «[…] il trattamento di dati personali del minore è lecito ove il minore abbia almeno 16 anni. Ove il minore abbia un’età inferiore ai 16 anni, tale trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. Gli Stati membri possono stabilire per legge un’età inferiore a tali fini purché non inferiore ai 13 anni»[2].

L’art. 4 del medesimo regolamento chiarisce il significato di dato personale, nella cui definizione rientra anche l’immagine, essendo definito come «qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale».

In Italia, il d. lgs. 30 giugno 2003, n.196, recante il Codice in materia di protezione dei dati personali, aggiornato in seguito all’adeguamento al Regolamento Europeo UE 679/2016[3], prevede, all’art. 2-quinquies, comma 1, che «in attuazione dell’articolo 8, paragrafo 1, del Regolamento, il minore che ha compiuto i quattordici anni può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione. Con riguardo a tali servizi, il trattamento dei dati personali del minore di età inferiore a quattordici anni, fondato sull’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), del Regolamento, è lecito a condizione che sia prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale»[4].

  1. Il disaccordo tra genitori

In Italia, il minore può prestare il consenso digitale e decidere se e quando pubblicare le sue immagini in rete a partire da 14 anni: prima di tale età, è necessario il consenso di entrambi i genitori. Ad essi è affidato l’esercizio del diritto all’immagine del figlio infra-quattordicenne, da svolgersi nel suo esclusivo interesse[5].

La giurisprudenza si è occupata spesso di situazioni in cui uno dei genitori pubblicasse le foto senza il necessario consenso dell’altro[6]. In tale evenienza, posta la violazione dell’art. 10 c. c. e dell’art. 2-quinquies, comma 1°, d.lgs. n. 196/2003, il genitore contrario alla pubblicazione potrebbe ricorrere al giudice per chiedere la cancellazione dei contenuti dalla rete.

I rimedi processuali esperibili da un genitore verso l’altro sono molteplici, potendo ricorrere al Tribunale, a seconda delle circostanze, con un provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c., per chiedere al giudice un immediato ordine di inibitoria e di rimozione dei contenuti dalla rete, oppure, qualora sia già emersa una situazione di crisi familiare, ex art. 709-ter c.p.c., che si inserisce nell’ambito delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale e delle modalità dell’affidamento[7]. In questa sede sarà possibile ricorrere all’art. 614-bis c.p.c., che consente al giudice di stabilire, come misura coercitiva indiretta accessoria ad un provvedimento di condanna, il pagamento di una somma di denaro per violazione, inosservanza o ritardo nell’esecuzione di un obbligo di fare infungibile o di non fare[8].

Di recente, la l. n. 206 del 2021 ha previsto, all’art. 1, comma 23, i «principi e criteri direttivi» che il Legislatore dovrà seguire nell’esercizio della delega per adottare i «decreti legislativi recanti modifiche alla disciplina processuale per la realizzazione di un rito unificato denominato “procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”». In particolare, alla lettera mm) del medesimo comma, è indicato di «procedere al riordino della disciplina di cui all’articolo 709-ter del codice di procedura civile, con possibilità di adottare anche d’ufficio, previa instaurazione del contraddittorio, provvedimenti ai sensi dell’articolo 614-bis del codice di procedura civile in caso di inadempimento agli obblighi di fare e di non fare anche quando relativi ai minori»[9].

  1. Il disaccordo tra genitori e figli

Il disaccordo tra genitori e figlio minore di quattordici anni in merito alla pubblicazione in rete delle foto di quest’ultimo può riguardare due ipotesi.

  1. a) Nel primo caso, il figlio vuole pubblicare le proprie immagini, ma i genitori sono contrari.

Secondo l’art. 2-quinquies, comma 1°, d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, il consenso alla diffusione delle immagini del minore di 14 anni è prestato da chi esercita la responsabilità genitoriale. Applicando tale disposizione, la volontà dei genitori prevale su quella del figlio infra-quattordicenne, anche qualora quest’ultimo fosse pienamente capace di discernimento.

  1. b) Nella seconda ipotesi, del tutto speculare alla prima, i genitori sono favorevoli alla pubblicazione delle immagini del minore, mentre quest’ultimo è contrario.

Applicando l’art. 2-quinquies, comma 1°, d. lgs. 30 giugno 2003, n.196, anche in tale caso prevale la volontà dei genitori.

Questa conclusione porta, però, ad una situazione paradossale: abbiamo visto, infatti, che un genitore non può pubblicare le foto del figlio sui social networks senza il consenso dell’altro genitore, mentre essi, di comune accordo, possono pubblicarle anche senza il consenso del diretto interessato.

  1. Le difficoltà di verificare in concreto la capacità di autodeterminazione del minore

La legge stabilisce una presunzione, in base alla quale il minore al di sotto degli anni quattordici si presume non ancora sufficientemente maturo per prestare il consenso digitale. Provando ad andare oltre il dato normativo, lo spazio per una diversa soluzione, differente da quella strettamente normativa, passa attraverso la possibilità di verificare, in concreto, la presenza di un’adeguata capacità di discernere del minore rispetto al tema della diffusione della propria immagine[10].

Una simile soluzione sarebbe in linea con tutte le ipotesi codicistiche in cui l’ordinamento consente al minore, anche al di sotto dei quattordici anni, di far sentire la propria voce sulle questioni di suo interesse[11]. Si pensi, innanzitutto, al testo dell’art. 315 bis c.c., comma 3, in base al quale «il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano»[12]. Oppure, si rifletta sulla recentissima riforma dell’art. 145 c.c., ad opera del D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, che prevede l’intervento del giudice in caso di disaccordo tra i genitori in tema di governo della famiglia: la modifica legislativa riguarda, tra gli altri aspetti, il diritto dei figli di essere ascoltati: i) in ogni caso (e non soltanto quando ritenuto opportuno dal giudice), ii) qualora abbiano compiuto dodici anni, o anche al di sotto di tale età, ove siano capaci di discernimento (con un abbassamento dell’età soglia, prima prevista a 16 anni). Infine, anche a livello costituzionale, gli art. 2 e 3 Cost. possono essere invocati per tutelare il diritto dei figli di essere ascoltati in ogni questione giuridica che riguardi direttamente la propria personalità, dovendo trovare applicazione anche in tema di diffusione della propria immagine in rete[13].

Tale soluzione, sebbene offra numerosi esempi normativi a sostegno, mostra, tuttavia, il suo principale punto di debolezza nel fatto che l’esame della reale capacità di autodeterminazione del minore debba essere svolto dal giudice e, dunque, realizzato in sede processuale[14].

Il ricorso al Tribunale da parte del minorenne presenta sostanzialmente problemi di due tipi[15].

Il primo è di ordine pratico, considerato che la via processuale non è una strada facilmente percorribile per un minore, potendo quest’ultimo non conoscere tale possibilità, oppure esserne intimorito e, in ogni caso, egli necessita di un curatore speciale per stare in giudizio[16]: non è un caso che le molte vicende giudiziarie in tema di diffusione dell’immagine in rete di minori siano cause che vedono i genitori uno contro l’altro[17], o contro terzi.

Il secondo ordine di problemi è di merito, perché avviare una causa contro i genitori per inibire la pubblicazione delle foto sui social networks potrebbe rivelarsi uno strumento eccessivo e non perfettamente adeguato e proporzionato rispetto al limitato fine che si persegue.

La questione è complicata, perché la diffusione delle fotografie del minore senza il suo consenso crea certamente un pregiudizio di fatto alla sua vita privata e personale, mostrando che i genitori non sempre sono le persone in grado di tutelare al meglio gli interessi dei figli[18], ma ciò non è necessariamente indice di una crisi del rapporto genitoriale e della vita familiare.

In primo luogo, è opportuno considerare che, ad eccezione dei casi in cui la diffusione delle immagini del figlio senza il suo consenso si realizzi nell’ambito di un generale contesto di abusi endofamiliari, che richiedono, senza dubbio, la trattazione in giudizio, negli altri casi, per la maggior parte, si tratta di ordinari litigi tra genitori e figli in età adolescenziale, rispetto ai quali è d’obbligo un invito alla proporzionalità e alla giusta misura del rimedio.

Un eventuale ricorso del figlio contro i genitori potrebbe avere derive che si spingono ben oltre il problema della diffusione delle fotografie in rete, aprendo fratture non più ricomponibili, riguardanti il complessivo rapporto tra genitori e figli[19].

Inoltre, in molte occasioni, tale ricorso potrebbe essere utilizzato strumentalmente nella lite già insorta tra genitori, come arma uno contro l’altro, senza un reale interesse per la protezione del minore. In tale evenienza, andrebbe verificata qual era la situazione prima del sorgere della lite tra i genitori: se la pubblicazione delle foto è sempre avvenuta ad opera di un genitore nell’indifferenza (o con il tacito consenso) dell’altro, non sembra corretto che quest’ultimo, successivamente, si opponga alla pubblicazione solo per trovare un motivo di scontro, come argomento per mettere in luce l’inadeguatezza dell’altro genitore rispetto alla tutela degli interessi del figlio.

D’altra parte, l’ipotesi di una via non giudiziale, che eviti i difetti del processo, ma che ne offra le medesime garanzie, è ancora da inventare: anche immaginando una soluzione alternativa al Tribunale civile, come potrebbe essere, ad esempio, la predisposizione di un canale apposito, gestito dall’Autorità garante per la protezione dei dati personali, che si occupi esclusivamente di diffusione dell’immagine dei minori, non si ha comunque la certezza che tale strada sia facilmente accessibile (e conoscibile) per un minore di quattordici anni.

  1. La semplificazione del sistema: il dissenso del minore vieta la pubblicazione, qualunque sia la sua età

La valutazione della capacità di discernimento del minore non è sempre uguale, ma relativa[20], perché dipende dalla finalità cui è rivolta.

Ciò consente di distinguere tra la capacità richiesta al minore per esprimere il consenso e quella per esprimere il proprio dissenso. La questione non è meramente nominalistica, ma si rivela utile per risolvere i problemi sopra visti.

Nel caso di espressione del consenso, si deve esaminare se la capacità di discernere del minore sia tale da valutare consapevolmente tutte le conseguenze[21], anche pregiudizievoli, che possono derivare dalla pubblicazione della propria immagine in rete[22]. Tale attività presenta una pericolosità intrinseca, esponendo il minore a infiniti rischi, perché chiunque potrebbe utilizzare le sue fotografie, diffonderle e manipolarle per scopi illeciti[23]. Anche secondo la giurisprudenza «l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento potenzialmente pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate e avvicinarsi ai bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore pericolo costituito dalla condotta di soggetti che “taggano” le foto on-line dei minori e, con procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia» e, di conseguenza, «il pregiudizio per il minore è dunque insito nella diffusione della sua immagine sui social network»[24].

Al contrario, la mancata pubblicazione delle immagini non comporta per il minore alcun pericolo, motivo per cui il giudizio sul grado di autodeterminazione raggiunto per tale finalità potrà essere più elastico: in altre parole, non ci sono controindicazioni se il minore esprime la propria volontà contraria, anche se non possiede ancora una piena e matura capacità di autodeterminazione.

È bene, tuttavia, delimitare il campo di applicazione di tale criterio al tema della circolazione dell’immagine del minore, non potendo, invece, essere esteso, tout court, ad altri ambiti, come, ad esempio, quello del consenso a sottoporsi a determinati trattamenti sanitari[25]: in quest’ultimo caso, anche il diniego comporta delle conseguenze rilevanti sulla salute del minore, richiedendosi, per tale ragione, che egli abbia piena comprensione e coscienza della situazione da affrontare.

Con questa precisazione, le difficoltà legate alla valutazione del grado di autodeterminazione possono essere superate introducendo come criterio guida il dissenso del minore, in modo tale che la diffusione delle sue immagini in rete sarà vietata se il minore è contrario, indipendentemente da quale sia la sua età. Ad esempio, un bambino di cinque anni non potrà prestare il proprio consenso, non essendo ancora in grado di comprendere tutti i pericoli che comporta la diffusione della propria immagine, ma potrà validamente dire “no” a tale pubblicazione.

Questa conclusione consente di valorizzare la volontà del minore su una questione che riguarda direttamente l’espressione della sua personalità, assicurando, al contempo, l’interesse pubblico alla sua tutela, attraverso un approccio garantista, che introduce un elemento in più per consentire la diffusione delle sue immagini. La volontà del minore funge da ulteriore controllo, non bastando il consenso di entrambi i genitori, ma richiedendosi anche il mancato dissenso del diretto interessato.

Inoltre, a livello pratico, tale criterio è di facile e pronta verifica, essendo sufficiente chiedere al minore se vuole o non vuole che i genitori pubblichino le sue fotografie, evitando, in tal modo, complesse valutazioni sulla sua capacità di discernimento.

Infine, la bontà della soluzione proposta trova conferma anche in un’ottica di bilanciamento degli interessi, interrogandoci su quale possa essere l’interesse dei genitori a diffondere le immagini del figlio, nonostante il parere contrario di quest’ultimo. Indipendentemente dall’età in cui il minore manifesta il proprio dissenso, non sembra esserci un interesse meritevole di tutela che riconosca ai genitori il diritto di diffondere le immagini del figlio minore, contro la sua stessa volontà.

[1] Come spiega M. Franzoni, Lesione dei diritti della persona, tutela della privacy e intelligenza artificiale, in Jus Civile, 2021, 1, p. 5, al concetto di dato personale è legato il concetto di privacy, come espressione di un diritto della persona, che «presuppone un modello di relazione sociale nel quale lo scambio di informazioni è una costante di ogni rapporto interpersonale». Si rinvia, in tema, anche a S. Patti, Il consenso dell’interessato al trattamento dei dati personali, in Riv. dir. civ., 1999, p. 461 ss.; A. Cataudella, Riservatezza (diritto alla), I, Diritto civile, in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 1991, p. 1 ss.; T.M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy: natura e funzioni giuridiche, Padova 2004, p. 49 ss.; F. Di Ciommo, Diritto alla cancellazione, diritto di limitazione del trattamento e diritto all’oblio, in AA. VV., I dati personali nel diritto europeo, a cura di V. Cuffaro, R. D’Orazio, e V. Ricciuto, Torino, 2019, p. 51 ss.; S. Fadda, Codice in materia dei dati personali, commento articolo per articolo al T.U. sulla privacy, Milano, 2004, p. 33 ss.; V. D’Antonio, Il consenso al trattamento dei dati personali, in AA. VV., I “poteri privati” delle piattaforme e le nuove frontiere della privacy, a cura di P. Stanzione, Torino, 2022, p. 159 ss.; F. Piraino, Il regolamento generale sulla protezione dei dati personali, in Nuove leggi civ. comm., 2017; D. Poletti, Le condizioni di liceità del trattamento dei dati personali, in Giur. it., 2019, p. 2783 ss.; A. Vivarelli, Il consenso al trattamento dei dati personali nell’era digitale. Sfide tecnologiche e soluzioni giuridiche, Napoli, 2019, p. 66 ss.; G. Resta, Autonomia privata e diritti della personalità, Napoli, 2005, p. 18 ss.; S. Thobani, Il consenso al trattamento dei dati come condizione per la fornitura dei servizi on line, in Atti del convegno Internet e diritto civile, (Camerino, 26-27 settembre 2014), a cura di C. Perlingieri e L. Ruggeri, Napoli, 2015, p. 459 ss.; F. Bravo, Il consenso e le altre condizioni di liceità, in Il nuovo regolamento europeo sulla privacy e sulla protezione dei dati personali, a cura di G. Finocchiaro, Bologna, 2017, p. 167 ss.; B. Lena, Le incertezze della Cassazione su privacy del minorenne e diritto di cronaca: tutela rafforzata della riservatezza o prevalenza dell’utilità della notizia?, in Famiglia e diritto, 2007, p. 138 ss.; M. Atelli e M. Mazzeo, Le definizioni del Codice dei dati personali, in Il Codice del trattamento dei dati personali, a cura di V. Cuffaro, R. D’ Orazio, V. Ricciuto, Torino, 2007, p. 37 ss.

[2] Sul tema si rinvia a A. R. Rizza, Il diritto all’immagine in rete, tra data protection e libertà, in Judicium, p. 3; F. Longobucco, Interesse del minore e rapporti giuridici a contenuto non patrimoniale: profili evolutivi?, in Dir. fam. pers., 2014, p. 1462 ss.; E. de Belvis, L’immagine digitale dei minori: interessi protetti e strumenti di tutela, in Il foro napoletano, 2019, p. 583 ss.; T. M. Ubertazzi, Dubbi sulla revocabilità del consenso all’utilizzazione dell’immagine, nota a Cass. 19 novembre 2008, n. 27506, in Foro it., 2009, p. 2729 ss.

[3] Ne tratta approfonditamente E. Lucchini Guastalla, Il nuovo regolamento europeo sul trattamento dei dati personali: i principi ispiratori, in Contratto e impresa, 2018, 1, p. 106 ss.; D. Poletti, Comprendere il Reg. UE 2016 /679: un’introduzione, in Regolare la tecnologia: il Reg. UE 2016/679 e la protezione dei dati personali. Un dialogo tra Italia e Spagna, Pisa, 2018, p. 11 ss.; AA.VV., I dati personali nel diritto europeo, a cura di V. Cuffaro, R. D’Orazio e V. Ricciuto, Torino, 2019, p. 111 ss.; V. Cuffaro, Il regolamento generale sulla protezione dei dati, in Trattamento dei dati personali e Regolamento UE n. 2016/679, in Speciali digitali del Corriere giur., 2018, p. 4 ss.; G. Finocchiaro, La protezione dei dati personali in Italia. Regolamento UE n. 2016/679 e d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, Bologna, 2019, p. 33 ss.; A.M. Garofalo, Regolare l’irregolabile: il consenso al trattamento dei dati nel GDPR, in Annuario 2021. Osservatorio Giuridico sulla Innovazione Digitale, a cura di S. Orlando e G. Capaldo, Roma, 2021, p. 119 ss.; I.A. Caggiano, Il consenso al trattamento dei dati personali nel nuovo Regolamento europeo. Analisi giuridica e studi comportamentali, in ODCC, 2018, 1, p. 67 ss.; C. Camardi, Mercato delle informazioni e privacy, riflessioni generali sulla L. n. 665/1996, in Eu. e dir. priv., 1998, p. 1061.

[4] Per un commento del Regolamento si rinvia a C. Perlingieri, La tutela dei minori di età nei social networks, in Rassegna di diritto civile, 2016, 4, p. 1332, dove individua tre livelli: «il minore infra-tredicenne, assolutamente incapace di autorizzare il trattamento dei dati personali in ordine all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, neanche a mezzo del titolare della responsabilità genitoriale; il minore infra-sedicenne, soltanto sulla base di una disposizione di legge dello Stato membro, capace di autorizzare il trattamento dei dati personali in ordine all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione a mezzo del titolare della responsabilità genitoriale; il minore ultra-sedicenne capace di prestare il consenso al trattamento dei dati personali in ordine all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, senza necessità della cooperazione del titolare della responsabilità genitoriale». La verifica della capacità del minore di concludere un contratto con il gestore della piattaforma del social networks è legata al tema qui trattato, perché, come spiega ivi, p. 1336, tale operazione contrattuale «è diretta alla sostanziale disposizione di attributi essenziali alla persona (riservatezza, immagine, identità) al fine di intrattenere relazioni sociali online».

[5] Si rinvia, sul punto, a F. Naddeo, Il consenso al trattamento dei dati personali del minore, in Dir. inf., 2018, p. 27; A. Thiene, L’immagine fra tutela risarcitoria e restitutoria, in Nuove leggi civ. comm., 2011, p. 343 ss.; I.A. Caggiano, Privacy e minori nell’era digitale. Il consenso al trattamento dei dati dei minori all’interno del regolamento UE 2016/679, tra diritto e tecno-regolazione, in Familia, 2018, p. 3 ss.; S. Stefanelli, Immagine e riservatezza dei minori in internet, in Cyberspazio e diritto, 2012, p. 1 ss.

[6] Si veda, ad esempio, Trib. Mantova, 19 settembre 2017, in Fam. e dir., 2018, p. 380 ss.; Trib. Trani, 30 agosto 2021, in Nuova giur. civ. comm., 2022, 25 ss.

[7] Testualmente, l’articolo 709-ter c.p.c. recita: «Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:1) ammonire il genitore inadempiente; 2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; 3) disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti dell’altro anche individuando la somma giornaliera dovuta per ciascun giorno di violazione o di inosservanza dei provvedimenti assunti dal giudice. Il provvedimento del giudice costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza ai sensi dell’articolo 614 bis; 4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende. I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari».

Per la dottrina sul punto si rinvia a R. Metafora, L’attuazione dei provvedimenti di affidamento della prole ex art. 709- ter c.p.c. e gli altri strumenti di coazione esecutiva, in Esecuzione forzata, 2022, 3, p. 767.

[8] Si pensi, ad esempio, alla recente ordinanza del Trib. Trani, 30 agosto 2021, in Nuova giur. civ. comm., 2022, 25 ss., con nota di F. Zanovello, dove è espressa la massima per cui «Deve essere accolto il ricorso d’urgenza promosso dal padre di una minore nei confronti della madre, da cui era legalmente separato, per rimuovere le immagini e le informazioni relative alla figlia pubblicate sui social network, inibendone la futura diffusione senza l’espresso consenso paterno e condannando la madre, ai sensi dell’art. 614- bis cod. proc. civ., al pagamento di una somma di denaro – a favore della figlia – per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento e per ogni violazione o inosservanza successiva. La mancanza di consenso del padre non può essere superata né dalla possibilità di quest’ultimo di visionare il profilo social in cui apparivano video e fotografie della figlia, né da un accordo transattivo con la moglie, regolante aspetti patrimoniali». Nello stesso senso, si veda anche l’ordinanza del Trib. Roma, 23 dicembre 2017, in Dejure online, in cui è stato disposto l’astreinte per garantire l’osservanza, da parte di un genitore, dell’obbligo di rimozione di immagini, video e informazioni relative ai figli.

[9] Spiega bene questo punto della riforma G. Carapezza Figlia, Effettività della tutela del minore e misure di coercizione indiretta. Gli artt. 614-bis e 709-ter c.p.c. nella riforma del processo della famiglia, in Dir. fam. pers., 2022, 2, p. 640 e 641, dove afferma che «L’applicabilità dell’astreinte alle controversie familiari rinviene, in tal modo, un preciso fondamento legislativo, sì da risolvere una perdurante incertezza interpretativa legata alla pretesa specialità dell’art. 709-ter c.p.c., che disciplinerebbe una peculiare forma di esecuzione indiretta non suscettibile di cumulo con il rimedio generale dell’art. 614-bis c.p.c. L’infondatezza della riferita tesi discende, ancor prima del recente intervento normativo, dall’autonomia funzionale delle astreintes, volte – piuttosto che a sanzionare ex post violazioni già verificatesi  ̶  a evitare ex ante l’inadempimento, mediante la condanna al pagamento di una somma di denaro, destinata ad accrescersi con il protrarsi della condotta indesiderata e ad acquistare automaticamente efficacia di titolo esecutivo. La misura compulsoria prevista dall’art. 614-bis c.p.c. è, dunque, comminata dal giudice in via accessoria a una propria statuizione, quale strumento diretto a prevenire a priori l’inosservanza di “obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro” oggetto di riconoscimento giudiziale».

Più in generale, sull’applicazione dell’art. 614- bis c.p.c. ai provvedimenti di natura familiare si rinvia a A. Graziosi, Sull’applicabilità ai procedimenti in materia di famiglia del dispositivo di esecuzione forzata indiretta ex art. 614 bis c.p.c., in AIAF, 2012, p. 1 ss.; A. Nascosi, Le misure coercitive indirette rivisitate dalla Riforma del 2022, in Riv. Dir. Proc., 2022, 4, p. 1214 ss.; C. Marino, Nuove regole per l’esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori, in Fam. dir., 2022, 2, p. 400 ss.; A. Carratta, Un nuovo processo di cognizione per la giustizia familiare e minorile, in Fam. dir., 2022, 4, p. 349 ss.; M. Venturello, Uso di immagine di persona per scopi commerciali e tutela cautelare, in Dir. industriale, 2008, p. 597 ss.

[10] L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, p. 99, definisce la capacità di discernimento come «una sensatezza sufficiente sul piano psicologico, che gli permetta di valutare le circostanze in cui si trova, l’importanza della decisione da prendere, i valori e gli interessi che vi sono in gioco, le conseguenze che potranno derivarne». Si rinvia inoltre a P. Stanzione, Capacità e minore età nella problematica della persona umana, Napoli, 1975, p. 51 ss.; G. Matucci, Lo statuto costituzionale del minore di età, Padova 2015, p. 3 ss.; A. Thiene, Riservatezza e autodeterminazione del minore nelle scelte esistenziali, in Fam. dir., 2017, p. 172 ss.

[11] Il tema è affrontato da C. Camardi, Relazione di filiazione e privacy. Brevi note sull’autodeterminazione del minore, Jus civile, 2018, 6, p. 837, in cui si interroga sul coordinamento tra l’art. 8 del Regolamento Privacy e l’art. 315-bis, affermando che «Se si ragiona sul semplice fatto per cui la manifestazione del consenso da parte dei genitori rientra nell’ambito dei poteri a questi ultimi conferiti dalla norma citata, è abbastanza immediata la conclusione per cui –anche in questo caso– è la capacità di discernimento del minore l’elemento risolutivo dell’eventuale contrasto tra genitori e figli. Ma se invece ci si muove privilegiando l’ottica del Regolamento, come prima fonte regolatrice della materia, e lo specifico contesto di rischi e problemi nel quale questo si colloca, allora andrebbe in primo luogo conservato il limite dei 13 anni, che il legislatore italiano non ha voluto assumere, quale elemento di confine tra autodeterminazione del minore e manifestazione del consenso genitoriale, ammettendo semmai il minore tredicenne dotato di capacità di discernimento alla personale manifestazione del consenso solo a seguito di una più approfondita valutazione non solo di quella capacità, ma anche delle caratteristiche del servizio della società dell’informazione di cui trattasi, e far valere il best interest quale argomento che, in considerazione del rischio specifico connesso a quel servizio, assegna eventualmente ai genitori il potere di dare o negare il consenso al trattamento dei dati».

[12] F. Danovi, Ascolto del minore, capacità di discernimento e obbligo di motivazione (tra presente e futuro), in Famiglia e diritto, 2022, 11, p. 996, si riferisce, appunto, al “principio generale” consacrato nell’art. 315-bis, comma 3, c.c. Si veda anche G. Ballarani, La capacità autodeterminativa del minore nelle situazioni esistenziali, Milano, 2008, p. 53 ss.; C. Camardi, Minori e privacy nel contesto delle relazioni familiari, in Autodeterminazione e minore età. Itinerari di diritto minorile, a cura di R. Senigaglia, Pisa, 2019, p. 141 ss.

[13] Si rinvia a L. Mezzasoma, Il diritto all’immagine tra codice civile e Costituzione, in Revista Internacional de Docrtina y Jurisprudencia, 2013, 2, p. 3 ss.

[14] D’altra parte, come sottolinea F. Danovi, Ascolto del minore, capacità di discernimento e obbligo di motivazione (tra presente e futuro), in Fam. dir., cit., p. 996 e 997, «una compiuta valutazione della capacità discernimento può essere effettuata soltanto a posteriori, a seguito dell’ascolto stesso, sulla scorta non soltanto del contenuto delle risposte fornite dal minore, quanto anche delle modalità con le quali lo stesso abbia a interfacciarsi con il giudice nella gestione di tale incombente». A sua volta, anche l’istituto dell’ascolto rappresenta pur sempre un atto istruttorio, «quantomeno nella misura in cui è volto a integrare le conoscenze del giudice su dati e profili necessari ai fini della decisione». Tuttavia, esso costituisce un atto istruttorio del tutto peculiare, considerato che «non è assimilabile dal punto di vista tecnico ad alcun altro istituto del processo. In particolare, l’ascolto non può essere considerato una testimonianza, poiché il minore non è terzo nel processo ma parte almeno in senso sostanziale; non è peraltro neppure accostabile all’interrogatorio libero, dal momento che il giudice da tale incombente può trarre un convincimento molto più diretto e incisivo ai fini della decisione; né ancora può essere configurato alla stregua delle mere sommarie informazioni, risultando piuttosto un momento centrale e ormai formale del processo deputato a raccogliere le opinioni e i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda nella quale lo stesso è coinvolto».

[15] Concorda nel rilevare la difficoltà insita nei procedimenti per valutare la capacità di discernimento del minore anche C. Camardi, Relazione di filiazione e privacy. Brevi note sull’autodeterminazione del minore, cit., p. 832, che lo definisce come «un problema sul piano della concreta attuazione nei singoli casi, sia perché la capacità di discernimento è una qualità di non semplice definizione, sia perché –una volta definita come capacità di distinguere e valutare le possibili alternative– resta non semplice accertarne la sussistenza in capo al minore coinvolto nel procedimento».

[16] Un ulteriore svantaggio di applicare il criterio della capacità di discernimento del minore è sottolineato da A. Batuecas Caletrío, Nuove tecnologie e protezione del minore nel diritto privato spagnolo, in Europa e dir. priv., 2020, 4, p. 1213, dove osserva che «In un ambito come questo delle nuove tecnologie in cui anche l’attività del minorenne è così diffusa, fissare come unico criterio della capacità di agire del minore la sua maturità personale (senza accompagnarlo a nessun altro fattore), potrebbe fomentare una grande incertezza giuridica, anche dal punto di vista dei genitori che per conoscere se il minore di età può dare il consenso per accedere a un social network dovrebbero attendere la decisione di un giudice. Il criterio della maturità può invece rimanere valido negli ambiti in cui l’attività dei minori di età è più rara e, quindi, in caso di controversie la rimessione a una verifica in concreto del grado di discernimento, se necessaria, non comporta eccessive difficoltà, laddove, per il motivo opposto, quando vi sia una diffusione generalizzata, come nel campo delle nuove tecnologie, si richiede un criterio oggettivo e standardizzato.».

[17] Si veda, ad esempio, S. Peron, Sul divieto di diffusione sui social network delle fotografie e di altri dati personali dei figli, in Resp. civ. e prev., 2018, p. 589 ss.

[18] Si pensi, a proposito, ai casi in cui la responsabilità genitoriale non è esercitata in maniera corretta dai genitori. Sul tema, si rinvia a M. Nitti, La pubblicazione di foto di minori sui social network tra tutela della riservatezza ed individuazione dei confini della responsabilità genitoriale, in Fam. dir., 2018, p. 390 ss.

[19] Secondo S. Molfino, Vietato pubblicare le foto dei figli sui social network senza il consenso dell’altro genitore, Ilfamiliarista.it, 18 gennaio 2018, p. 3, non è da escludere nemmeno il ricorso al Tribunale per i Minorenni, competente a decidere nei procedimenti di controllo e decadenza della responsabilità genitoriale, in assenza di giudizio separativo già incardinato dinanzi al Tribunale Ordinario, qualora dovesse venir ravvisato un grave pregiudizio per il minore.

[20]  F. Ruscello, Minore età e capacità di discernimento: quando i concetti assurgono a “supernorme”, in Famiglia e diritto, 2011, 4, p. 407 «la capacità di discernimento è (o dovrebbe essere) strettamente collegata a una situazione di fatto difficilmente riconducibile a un momento preciso della vita dell’individuo. Con essa, infatti, comunemente, si fa riferimento a uno stato, per dir così, di cosciente valutazione della realtà da parte della persona che, in quanto tale, non può essere se non variabile da individuo a individuo e che, di regola, è rapportabile a quella che, formalmente, viene indicata come “capacità naturale”». Riferita ai minori, con essa si intende, in particolare, «quella capacità corrispondente (…) alla gradualità di sviluppo della persona e non commisurabile in assoluto ma variabile secondo le situazioni ed i soggetti che nella concreta ipotesi si considerano».

[21] D’altra parte, il problema della capacità di esprimere un consenso autenticamente consapevole si pone per tutti gli utenti della rete, non solo per i minori. Si veda, in proposito, quanto affermato da C. Perlingieri, Social Networks and Private Law, Napoli, 2017, p. 69 «At present therefore, there is a well-founded problem of consent and the prerequisites for consent in relation to access to the social web as the operators of social networks render user registration, and consequently the usage of platform services, conditional upon the provision of registration data for purposes and for procedures that are often not specifically mentioned».

[22] Sulla stessa linea, C. Irti, Persona minore di età e libertà di autodeterminazione, in Giustizia civile, 2019, 3, p. 631, segnala i rischi che il minore incontra autorizzando il consenso al trattamento dei propri dati personali, trattandosi di autorizzare decisioni «che possono comportare rischi significativi per i diritti e le libertà delle persone fisiche». In particolare i rischi derivano dal fatto che il consenso al trattamento dovrebbe riguardare anche la procedura di profilazione, ossia, ivi p. 631 «l’analisi di informazioni complesse ottenute dall’aggregazione automatica di dati raccolti all’interno della rete – una “modalità di raccolta dei dati” particolarmente “subdola”, in quanto generalmente attuata senza che l’interessato ne abbia piena consapevolezza», a maggior ragione se si tratta di un minore, come nota appunto F. Di Porto, Il consenso digitale del minore dopo il decreto GDPR 101/2018, in www.agendadigitale.it, secondo cui «è difficile immaginare che l’interessato, per giunta minore, comprenda che la sua profilazione derivi non solo da dati che egli ha fornito direttamente, ma anche da quelli derivati o desunti da altri dati». Si rinvia, inoltre, a A. Astone, L’accesso dei minori d’età ai servizi della c.d. Società dell’informazione: l’art. 8 del Reg. (UE) 2016/679 e i suoi riflessi sul Codice per la protezione dei dati personali, in Contratto e impresa, 2019, 2, p. 645 ss.

[23] I pericoli insiti nell’utilizzo dei social networks sono evidenziati da C. Perlingieri, La tutela dei minori di età nei social networks, cit., p. 1325, dove individua due diverse prospettive: «Da un lato, una prospettiva c.d. fisiologica, vale a dire rivolta all’individuazione degli strumenti, delle regole e dei principi diretti ad assicurare anche ai minori l’accesso ai social networks al fine di consentirne il pieno sviluppo in un’epoca nella quale le relazioni sociali dei giovani si svolgono soprattutto mediante la rete. La considerazione dei social networks quali attuali strumenti necessari allo sviluppo della personalità e all’esercizio delle libertà fondamentali e in particolare di manifestazione del pensiero, nonché della libertà religiosa e della libertà di partecipare alla vita politica, sollecita il riconoscimento di un’autonomia del minore proporzionata al livello di maturità alla quale collegare la relativa responsabilità anche genitoriale sì che anche il minore di età, ove abbia raggiunto una maturità sufficiente possa accedere al social, riproponendosi questioni già affrontate e risolte, da oltre trent’anni, con il superamento della dicotomia capacità giuridica- capacità d’agire, e l’utilizzazione della capacità di discernimento come criterio di valutazione del caso concreto. Dall’altro, una prospettiva c.d. patologica, diretta all’individuazione di adeguati strumenti di tutela dei minori dai pericoli disseminati nei social e alla prevenzione dei pregiudizi di carattere personale e patrimoniale. I rischi, infatti, si aggravano nel caso dei minori di età, giacché si tratta di utenti spesso più esperti degli adulti nell’uso delle tecnologie, ma assai meno consapevoli dei gravi pregiudizi, non soltanto di carattere patrimoniale, ma anche e soprattutto in ordine alla crescita e al libero sviluppo, derivanti dall’uso inappropriato dei social networks».

[24] Le due citazioni sono del Trib. Mantova, 19 settembre 2017, in Fam. e dir., 2018, p. 380 ss.: per un commento si rinvia a R. Forciniti, Tutela cautelare e d’urgenza e diffusione di immagini di soggetti minori sui social networks, in Fam. dir., 2019, 6, p. 594 ss. Nello stesso senso, come nota T. Pasquino, Identità digitale della persona, diritto all’immagine e reputazione, in Privacy digitale. Riservatezza e protezione dei dati personali tra GDPR e nuovo codice Privacy, a cura di E. Tosi, Milano, 2019, p. 106 «Al riguardo, è agevole constatare come l’esposizione della propria “identità” nel mondo virtuale, in qualsiasi forma e spazio essa avvenga, determini un “effetto moltiplicatore” delle occasioni in cui i diritti della sfera personalissima del titolare possono essere lesi o pregiudicati da comportamenti illeciti ascrivibili a terzi». Si veda anche C. Bernasconi, I rischi insiti nell’utilizzo del Web come possibile strumento di sfruttamento sessuale dei minori: l’attuazione in Italia della Convenzione di Lanzarote e il potenziamento degli strumenti repressivi, in Annali online della Didattica e della Formazione Docente, 2017, 13, p. 59 ss.

[25] Per questo tema si rinvia, diffusamente, a R. Senigaglia, Consenso libero e informato del minorenne tra capacità e identità, in Rass. dir. civ., 2018, 4, p. 1318 ss.; G. Carapezza Figlia, Profili ricostruttivi delle dichiarazioni anticipate di trattamento, in Familia, 2004, p. 1055 ss.; P. Zatti, Cura, salute, vita, morte: diritto dei principi o disciplina legislativa?, in Riv. di BioDiritto, 2017, 1, p. 185 ss.; L. Lenti, Il consenso informato ai trattamenti sanitari per i minorenni, nel Trattato di biodiritto, diretto da P. Zatti e S. Rodotà, Milano, 2011, p. 417 ss.; R. Clarizia, Autodeterminazione e dignità della persona: una legge sulle disposizioni anticipate di trattamento, in Dir. fam. pers., 2017, p. 952 ss.; M.A. Piccinni, Il consenso al trattamento medico del minore, Padova, 2007, p. 278 ss.; G. La Forgia, Il consenso del minore «maturo» agli atti medico-chirurgici: una difficile scelta d’equilibrio tra l’auto e l’eterodeterminazione, in Fam. e dir., 2004, p. 413 ss.; C. Di Costanzo, La tutela del diritto alla salute del minore. Riflessioni a margine della legge n. 219/2017, in Riv. di BioDiritto, 2019, 1, p. 300 ss.; M. Foglia, Consenso e cura. La solidarietà nel rapporto terapeutico, Torino, 2018, p. 31 ss.; S. Cacace, Autodeterminazione in salute, Torino, 2017, p. 243 ss.; D. Durisotto, Il valore del dissenso al trattamento sanitario nell’ordinamento giuridico. Un difficile bilanciamento di principi, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, 2009, p. 1 ss.; M.N. Bugetti, La disciplina del consenso informato nella legge 219/2017, in Riv. dir. civ., 2019, 1, p. 106 ss.; G. Giaimo, Riflessioni comparatistiche a margine delle scelte in tema di trattamento sanitario, in Europa e dir. priv., 2018, p. 1261 ss.; M. Graziadei, Autodeterminazione e consenso all’atto medico, in I diritti in medicina, nel Trattato di biodiritto, diretto da P. Zatti e S. Rodotà, Milano, 2011, p. 191 ss.; A. Cordiano, Identità della persona e disposizioni del corpo, Roma, 2011, p. 136 ss.

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